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Sul bombardamento di Makmur e Shengal nel Kurdistan Iracheno.

Riprendiamo dal profilo facebook di Domenico Comintagelo uno scritto sul bombardamento dell’esercito turco nel campo profughi di Makmur e sul monte di Shengal.

Ieri sera aerei da guerra turchi hanno bombardato il campo profughi di Mexmur (Makhmur) in Kurdistan Başur (Kurdistan Iracheno). Nel bombardamento 4 donne del campo hanno perso la vita. Makhmur non è un comune campo profughi ma una delle esperienze di lotta ed autorganizzazione più belle del mondo. Qui si può dire sia nato, nei fatti, il modello di autonomia democratica alla base del confederalismo democratico in atto ora in tutto il Nord della Siria. Un modello che ha reso possibili la coesistenza di diversi gruppi etnici e religiosi basato sull’emancipazione delle donne e dei giovani e che non può prescindere dal concetto di autodifesa. La scelta, del governo turco, di bombardare quello che è ormai divenuto, con il lavoro di 20 anni, un villaggio nel mezzo del deserto iracheno è un segnale preciso di rappresaglia contro il movimento di liberazione kurdo che in queste ore,nelle fila delle Forze Siriane Democratiche, in Siria affronta le ultime decisive battaglie per la definitiva sconfitta militare di Daesh (Isis) nel governatorato di Deir Ez Zor. Quello che è nato come necessità a Makhmur è diventato un modello capace di liberare i territori ed loro popoli dal terrore dei fondamentalismi e dei regimi oppressori e sanguinari.
Sempre nella serata di ieri i jet turchi hanno bombardato Sinjar, una piccola regione popolata dagli Ezidi, minoranza etnica che ha subito nel 2014 un massacro da parte degli uomini del califfato. Lo stesso capo di stato con il quale i nostri governi stringono accordi commerciali milionari e che l’UE paga profumatamente per chiudere il “rubinetto migranti” è un pazzo fuori controllo che compie massacri di civili dentro e fuori il territorio turco e che finanzia bande di jihadisti per invadere, occupare e disseminare il terrore come già accaduto ad Afrin e come probabilmente accadrà di nuovo in Rojava.
E’ necessaria una mobilitazione internazionale che metta fine a questa follia provando a rompere il muro di silenzio che l’informazione main stream ha eretto intorno a questa situazione.

 

 

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