“MIA MADRE PIANGEVA OGNI GIORNO. DIEDE VIA IL BAMBINO CHE ERA NEL SUO VENTRE, IN QUEL GIORNO. E SMISE DI PIANGERE SOLO QUANDO NACQUE MIA FIGLIA” L’AGGHIACCIANTE STORIA DEL MASSACRO DI BATANG KALI COMPIUTO DALL’ESERCITO INGLESE IN MALESIA
“Quando tornammo sentimmo subito la puzza. I corpi erano ammassati a gruppetti di tre o quattro. Ad un tratto vidi mio padre. Era stato colpito al petto. Era il 12 dicembre. Il giorno del mio compleanno. Da quel momento, mia madre iniziò a piangere. Piangeva ogni giorno. Quando suo figlio nacque, un mese dopo, lo diede via. Smise di piangere solo dopo che mi sposai e dopo che nacque mia figlia. Si spense a 92 anni”
Lim Ah Yin, all’epoca 12enne.
A Batang Kali era un giorno come gli altri. Siamo nel 1948. La Malesia è stata liberata tre anni prima dall’occupazione giapponese e posta sotto il controllo inglese. Come in molti altri paesi dell’area, anche in Malesia i comunisti iniziarono a guadagnare consenso rapidamente nella parte finale e successiva al conflitto. La guerriglia comunista rappresenta un pericolo inaccettabile per l’Impero britannico, vista la posizione strategica della Malesia. La repressione è brutale, e raggiunse il suo apice durante il massacro di Batang Kali. Un massacro sul quale c’è davvero poco da dire. Gli uomini del villaggio vennero separati dal resto della popolazione ed uccisi a sangue freddo con armi automatiche. Le vittime furono in tutto 24. Ma, come in molti altri casi simili, sono i tentativi di insabbiare il tutto a suscitare più rabbia.
“I civili provarono a scappare”
“Erano ostili”
“Rifiutarono di collaborare”.
E se le indagini iniziarono negli anni ’60, le prime confessioni da parte di militari presenti durante il massacro arrivarono solo nel primi anni ’90. Il caso si trascina fino al 2015, quando un tribunale inglese, dopo aver riconosciuto la responsabilità del Regno Unito, afferma che sarebbe stato inutile procedere vista la distanza nel tempo dei fatti.
“Volevo solo giustizia”, disse Lim in un intervista al Guardian. “Giustizia per tutta la sofferenza subita dalla mia famiglia”.
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