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Il piano di Erdogan per controllare l’acqua del Rojava. Make Rojava Green Again

Il piano di Erdogan per controllare l’acqua del Rojava

Un mese. Ecco quanto rimane alle persone che hanno trovato rifugio nella regione di Hasaka prima di rimanere senza acqua. Prima che si scateni una sempre più probabile catastrofe umanitaria, l’ennesima, a cui le poche Ong che ancora operano sul territorio non sanno come far fronte. Fin dall’inizio dell’operazione Sorgente di pace, uno degli obiettivi della Turchia di Recep Tayyip Erdogan è stato quello di minare le risorse idriche dell’Amministrazione autonoma, piegando in questo modo la popolazione locale e costringendo le famiglie del Rojava a lasciare i territori di confine.

Gli attacchi contro la diga Alouk

Per fare ciò, l’esercito di Ankara ha più volte attaccato la diga Alouk a Serekaniye, una delle città che si trovano attualmente dentro la cosiddetta safe zone. La struttura, che fornisce acqua a circa 400 mila persone, è stata colpita dall’artiglieria turca durante l’avanzata verso Ras al Ain, ma il 19 ottobre era stata parzialmente riparata: la diga era tornata a operare al 20 per cento della sua capacità, ma per poco tempo. Dieci giorni dopo, a causa di un nuovo attacco, è tornata fuori uso e questa volta riuscire a raggiungere il sito per far ripartire il flusso d’acqua non è stato possibile. Come confermato dal Rojava Information Center, la diga si trova attualmente sotto il controllo di milizie jihadiste filo-turche che non permettono a nessuno di avvicinarsi alla struttura, con il chiaro intento di bloccare qualsiasi intervento di riparazione.

Per far fronte a una situazione sempre più disperata, la Croce rossa internazionale e la Mezzaluna rossa araba hanno dovuto fare affidamento sulla diga di al-Hemma, da poco ritornata in funzione, e su cisterne d’acqua private. Ma si tratta di una soluzione di emergenza che non durerà ancora a lungo e che è sostenibile neanche da un punto di vista economico, soprattutto per gli sfollati interni rifugiatisi ad Hasaka. In città, l’acqua arriva solo cinque giorni a settimana per un massimo di otto ore e il prezzo delle bottiglie, secondo quanto riportato dall’Unicef, è raddoppiato.

Una delle preoccupazioni maggiori per le Ong è quello del ritorno di epidemia di diarrea e altre malattie causate dalla sempre maggiore carenza di igiene in zone che, oltre ad avere scarso accesso all’acqua, vedono il numero di rifugiati interni aumentare costantemente.

La guerra dell’acqua

La Turchia, nelle diverse operazioni condotte in territorio siriano fin dall’inizio della guerra, sembra seguire una strategia precisa: attaccare le risorse idriche e impossessarsi delle dighe per piegare i “nemici”. Il danneggiamento della struttura di Alouk non è la prima nel suo genere. Anche durante l’offensiva del 2018 contro Afrin, l’operazione Ramoscello d’ulivo, le truppe turche avevano attaccato e messo fuori uso tre stazioni di pompaggio dell’acqua. Anche in quel caso il venir meno delle normali risorse idriche aveva dato non pochi problemi ai soldati curdi e alla popolazione locale assediata nella città al confine nord-ovest con la Turchia.

L’attacco contro la diga di Alouk rientra perfettamente in questo schema e rende sempre più evidente l’interesse di Ankara verso l’acqua e la possibilità di usare le risorse idriche come arma. Anche a livello interno, infatti, il governo turco sta portando avanti un piano che assicuri alla Turchia il pieno controllo sul flusso del Tigri e dell’Eufrate attraverso la costruzione di dighe nei rispettivi bacini. Così facendo, Ankara si sta assicurando la possibilità di controllare il flusso di due importanti fiumi che scorrono anche in Iraq e Siria, potendoli così usare come fonte di ricatto nei confronti dei Paesi limitrofi. La guerra dell’acqua è sempre più vicina. Ed Erdogan non intende farsi trovare impreparato.

Fonte pagina Facebook make Rojava Green Again

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