Pensieri e ricordi, l’operazione Al Karama.
Marzo 2017, con il Tabur antifascista partecipiamo all’operazione di avvicinamento alla città di Raqqa, dovevamo liberare la cittadina di Al Karama, a 20 chilometri da Raqqa. Non sapevamo cosa ci attendeva, nella cittadina vivevano 20.000 mila persone, lo Stato Islamico era in ritirata, I compagni al fronte prima di noi avevano combattuto una settimana per sfondare le prime linee e li L’Isis decise di ritirarsi e solo pochi miliziani rimasero in città. Avanzavamo in tutta città quasi deserta, chilometri e chilometri a piedi sotto il sole, si partiva al mattino fino al tramonto, poi prendevamo la prima casa la rafforzavamo per la notte e facevamo i turni. Fortunatamente non si combatte, in città trovavamo solo cadaveri di miliziani e qualche borbardamento colpiva qualche postazione nell’Isis, c’erano pochi spari in città ma le mine era sempre in agguato insieme a qualche piccolo drone pronto a sganciarsi qualche granata, c’erano pochi civili e quando stavano sui palazzi la mia poi grande paura era che colpivo i civili infatti se soaravo con colico mai le persone ma solo di fianco così se erano civili alzavano le mani se erano miliziani rispondevano e allora li potevi essere sicuro di sparare, ma prima no. Lo ammetto ero stanchissimo facevamo decine di chilometri al giorno sotto il sole e di notte faceva un freddo cane, uno sbalzo termico anche di 20 gradi. Al quinto giorno verso le 13 vediamo I compagni correre verso una casa, iniziamo pure noi a correre erevamo sotto tiro, ricordo che avevo la polmonite e ad ogni pausa mi facevo uno spruzzo di ventolin, tra polvere e polmonite non respiravo più. Arriviamo in sta casa scopriamo che un miliziano si era fatto esplodere e durante il conflitto a fuoco un’altro era rimasto ferito alla gamba.
Lì Heval Ciya, che era il responsabile medico dell’unità, era l’unico e vista la usa esperienza in montagna e in situazioni di stress ne ne sapeva abbastanza di primo soccorso. Senza nemmeno pensarci un attimo si tolse il fucile e inizio a medicare il miliziano, io mi avvicinai gli diedi dell’acqua, lo ammetto quando me lo sono trovato davanti ho pensato ai miei amici uccisi dai suoi compagni, dal suo esercito, avevo una forte rabbia ma allo stesso tempo vederlo sofferente, quasi svenuto mi faceva una gran pena e il dolore che provava lui per le 3 pallottole sulla gamba era come se lo provavo io. Ciya lo medico per bene, gli diede della morfina per calmarlo e fargli passare un po il dolore e io gli diedi della cioccolata, andavo in operazione con lo zaino pieno di scorte e questo era utile in una città deserta dove l’unico cibo era ciò che si trovava, cioè poco o niente.
Ciya in quei giorni per me fu fondamentale, con me parlava in spagnolo e quasi aveva imparato l’italiano e per questo quando non potevo stare con altri compagni italiani per motivi tattici/militari stavo sempre con lui. Nel nostro Tako, una piccola unità all’interno del battaglione eravamo sempre insieme. Mi ha insegnato molto Ciya, era quasi un padre per me, io avevo 26 anni lui 42. Era un piliastro per me insieme ad Heval Cekdar, aver perso lui e come se avessi perso qualcosa del mio corpo, come se mi sentissi mezzo vuoto.
Grazie a Ciya ho imparato a fare sport per bene a correre, ad allenarmi, a saper respirare per faticare meno e sopratutto ho imparato a sopravvivere in guerra, era un buono Ciya.
Un vero compagno.
Come ormai ne nascono pochi.
Sei rimasto lì sull’imalaya almeno riposerei in quel luogo per sempre, tra i tuoi monti, con il tuo amore immenso amore per le montagne.
Paolo Pachino
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