Ieri durante il dibattito sul Rojava alla 9 Vetrina dell’editorie anarchiche libertarie si parla di Turchia, Stati Uniti e Russia, ad una certa il discorso si sposta verso un’avvenimento che pensavo di aver in parte rimosso, ma non era così, il compagno Cekdar inizia a a parlare del bombardamento di Karackok, quello della notte del 25 Aprile del 2017 in cui morirono più di 50 compagni, quella notte mi trovavo lì, di fianco a quel bombardamento e il compagno JAK mi passa la parola per poter dire qualcosa su quell’avvenimento proprio perché quella maledetta notte mi trovavo lì.
Mi trovo un po spiazzato, di rado parlo di guerra vera, di quello che ho vissuto veramente e di quello che sopratutto mi ha cambiato e quindi subito non so cosa dire, dopo un’attimo mi sblocco e parto a parlare, ricordo quei momenti come se fosse ieri, quelle 26 bombe sganciare addosso a noi in sole due ore dalle 2 alle 4 di notte, la nostra base non fu colpita ma tutte quelle intorno a noi compreso il quartier generale delle YPG YPJ si è furono tutte distrutte compreso il media center che distava solo 500 metri da noi, cosa ci salvo quella notte? Il fatto di essere internazionali di trovarci in 30 compagni che provenivano da ogni parte del mondo li in quella base e i turchi lo sapevano benissimo, infatti per questo non ci hanno bombardato ma hanno ucciso più di 50 curdi e arabi delle YPG YPJ, perché loro si sa per la comunità internazionale non valgono nulla, non hanno documenti o passaporti e nemmeno appartengono a nessun stato e per questo sono stati sacrificati per i giochi di potere degli Stati Uniti della Russia e della Turchia, ed è li che si vede da che parte sta la rivoluzione e il capitalismo, due parti opposte che combattono tra di loro.
Quella notte ricordarla non è facile, si forse un po ti senti in colpa, di non essere stato colpito, di essere stato salvato e gli altri invece no e sopratutto di non aver potuto fare nulla, 60 compagni e compagne, amici ed amiche sono morti, tu invece ti sei nascosto, sei scappato tra le colline vedendo le basi delle YPG YPJ prendere fuoco, la collina di Karackok illuminarsi e tu invece vivevi, ossevavi tutto ciò è pensavi, “moriro pure io”? Alla fine no non sono morto ma ho osservato gli altri morire e ricordare quegli istanti non è stato facile ma a necessario perché la storia, la resistenza e il sacrificio non deve essere dimenticato e questi avvenimenti anche se dolorosi vanno ricordati, in primis per dare memoria ai compagni e compagne cadute e per far vedere quali sono veramente i nostri nemici, gli stati imperialisti nazionalisti che per i loro giochi di potere sacrificano miglia di vite umane, ricordare la rivoluzione, parlare di quelle giornate in accademia lo si fa con il sorriso, parlare invece dei caduti, dei morti oltre che con un pizzico di orgoglio per aver avuto la fortuna di conoscerli si fa con il dolore, perché si sa la guerra porta morte e distruzione ma è una dura conseguenza della rivoluzione e della resistenza.
Firenze 21 Settembre 2019
Paolo Pachino Azadi
Foto del dibattito
Foto del bombardamento
Aprile 2017
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