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Lei è Havala Cem “non siete felici di essere qui a combattere? Dovete esserlo, io sono contenta di essere qui al fronte”.

Lei è Havala Cem, la compagna Fiume. Alcuni compagni internazionalisti del battaglione antifascista hanno avuto il piacere ma soprattutto l’onore come me di conoscerla e di passare del tempo insieme a lei: al fronte a resistere e lottare, nelle retrovie a scherzare e giocare a pallavolo o a festeggiare il Newroz, il capodanno curdo.
Havala Cem, quando è caduta, aveva solo 20 anni. Quando l’abbiamo conosciuta, nel gennaio del 2017, ci disse che viveva ad Istanbul, giocava a calcio in una squadra femminile e il suo idolo calcistico era Ronaldo. Tutti questi discorsi li abbiamo fatti al fronte, mentre scavavamo le trincee, eravamo sul fronte oltre la città di Mambiji. Davanti a noi c’era l’esercito turco, ai nostri lati lo Stato Islamico… direi uno dei posti peggiori del mondo. Si sentivano gli aerei sulla nostra testa, forti esplosioni arrivavano dalla città di Al Bab, a pochi chilometri da noi. Sembra incredibile, ma Isis ed esercito turco all’epoca combattevano anche se da lì a poco avrebbero trovato un accordo… ma non è di questo che volevo parlare.
Su quel fronte insieme a compagni curdi e arabi c’era anche lei, Havala Cem, sempre la prima a prendere la pala e scavare e la prima ad offrirti un cay per scaldarci, visto il freddo che faceva. Era Gennaio e per il freddo non c’erano vestiti che tenevano, solo il cay offerto da Havala Cem sapeva scaldarti. Lì vicino, su quelle colline, a distanza di un anno e due mesi, saresti caduta per difendere Cinderise, un villaggio che si trovava nel cantone di Afrin.
Sei caduta sotto le bombe dell’esercito turco, quello stesso esercito che in quei giorni avevamo di fronte, dove insieme scavavamo trincee per cercare, forse, di fermare il nemico… anzi i nemici. Erano due su quel fronte: l’esercito turco, lo stesso che ti ha ucciso un anni dopo, e lo Stato Islamico lo stesso che hai sconfitto qualche mese dopo.
Quando sono ritornato in Siria, nel Marzo del 2018, ti pensavo. Non sapevo che eri caduta, anzi molti compagni non lo sapevano. In quei giorni pensavo a quelle giornate passate al fronte insieme a te: erano stati pochi giorni ma intensi di ricordi. Appena tornato avevo rivisto qualcuno della tua unità e mi chiedevo che fine avessi fatto, dicevo tra me e me “avrà cambiato Tabur, così come succede spesso”. Ma invece purtroppo no, non avevi cambiato Tabur, infatti nel mese di Giugno del 2018, quando ancora sul sito dello YPG venivano pubblicate le tante foto di compagni e compagne cadute ad Afrin, tra cui molti a cui tenevo particolarmente, è arrivata pure la tua foto. Speravo che non fossi tu, ma il nome fece svanire quelle speranze qualche istante dopo, eri proprio tu: Haval Cem Rojilat, caduta il 10 Marzo del 2018 nel Villaggio di Cinderise, cantone di Afrin, anche tu insieme a più di 1000 compagni, forse quasi 2000.
Quei giorni sono stati duri per me, sentivo un vuoto indescrivibile, inspiegabile, quello stesso vuoto che ho sentito tante volte durante i quasi due anni trascorsi nello YPG. Si sa che la guerra porta sofferenza, ma la rivoluzione no, la rivoluzione porta gioia, felicità, quella stessa felicità che ci hai descritto tu quando eravamo al fronte e ci dicevi “non siete felici di essere qui a combattere? Dovete esserlo, io sono contenta di essere qui al fronte”. Quelle frasi le porto nel cuore, e come me tanti altri compagni che ti hanno conosciuto. Perché è vero, la guerra e la perdita dei compagni ti porta il vuoto dentro, la tristezza e tante domande per la testa, ma la rivoluzione ti rende felici, così come difendere una rivoluzione.
Ricordare quelle frasi mi dà forza e sostegno nel continuare, nel pensarti, perché la tragedia non è la tua morte: la tragedia sarebbe stata non essere stato lì con te, non averti conosciuta, non essermi unito allo YPG. La tragedia è restare fermi a guardare e non ribellarsi e mettersi in gioco per costruire una società nuova. Ed è quello che volevi tu Havala Cem: per questo noi continueremo nel difendere questa rivoluzione, lo farò anche per te e lo faremo per le/gli 11.000 mila martiri della rivoluzione, perché la rivoluzione rende felici e non fare nulla, stare fermi rende tristi e inermi davanti alla tragedia quotidiana in cui viviamo.
Jin Jiyan Azadi
Sheid Namirim

Paolo Pachino Azadi, internazionalista YPG.

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